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  • Venerdì 11 luglio 2025

C’è un nuovo gruppo terroristico in Siria

Dice di non far parte dello Stato Islamico ma ci somiglia: è responsabile dell'attentato di giugno a una chiesa di Damasco

di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

La chiesa greco-ortodossa di Mar Elias, nel centro di Damasco. Si vedono i segni dell'esplosione e gli schizzi di sangue causati da un attentato (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)
La chiesa greco-ortodossa di Mar Elias, nel centro di Damasco. Si vedono i segni dell'esplosione e gli schizzi di sangue causati da un attentato (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)
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Alle sei di sera di domenica 22 giugno padre Iohannes, 40 anni, stava celebrando messa nella chiesa di Mar Elias, nel quartiere cristiano di Dwel’a a Damasco, in Siria. Ha sentito spari fuori dalla chiesa, ha visto un uomo entrare dal portone in fondo alla navata con un fucile d’assalto e cominciare a sparare ai fedeli. Padre Iohannes, che celebra messa in quella chiesa da tredici anni, dice che l’uomo non ha detto nulla. Quando ha finito il caricatore ha gettato una granata che però non è esplosa. Sulle spalle aveva uno zainetto pieno di esplosivo, come tutti i presenti hanno intuito in pochi secondi.

C’erano centinaia di fedeli, molti sono corsi verso l’altare e altri verso le uscite. Tre persone hanno afferrato l’uomo e lo hanno trascinato verso l’uscita, ma lui è riuscito a farsi saltare in aria. Il tutto è durato 51 secondi, dice padre Iohannes, che in seguito ha visto il video registrato dalle telecamere di sorveglianza. Il filmato non è pubblico, è stato preso dall’intelligence siriana.

L’esplosione nella chiesa di Mar Elias ha ucciso 25 persone e ne ha ferite 60. Ha fatto un buco nel pavimento, che adesso è stato tappato con una grata coperta poi con una corona di fiori mandata dall’ambasciata degli Stati Uniti. L’onda d’urto della bomba ha rovesciato le panche, spezzato alcune icone, fatto saltare verso l’esterno tutte le finestre della chiesa, anche quelle più lontane. Le schegge hanno perforato le pareti e le immagini sacre e hanno spezzato il braccio di un Cristo.

Un’immagine sacra spezzata dall’esplosione della cintura esplosiva dell’attentatore. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

Alcuni fedeli rendono omaggio alle vittime dell’attentato accendendo dei ceri e pregando. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

– Leggi Outpost, la newsletter di Daniele Raineri: Tutto inizia dalla Siria

È stato il primo attentato suicida a Damasco dalla fine del regime del presidente Bashar al Assad, che è scappato in Russia dopo la vittoria dei ribelli islamisti del gruppo Hayat Tahrir al Sham.

Il primo attentato riuscito, perché in questi mesi a Damasco le nuove forze di sicurezza hanno detto di avere bloccato alcuni attentati e di avere arrestato piccole squadre clandestine dello Stato Islamico (le forze di sicurezza sono formate dagli stessi uomini che fino a quattro giorni fa erano sulla lista ufficiale dei gruppi terroristici compilata dagli Stati Uniti). A gennaio un articolo del Washington Post spiegava che c’è un’intensa collaborazione tra l’intelligence americana, la Cia, e le nuove forze di sicurezza dell’ex jihadista e presidente ad interim siriano Ahmad al Sharaa. La Cia passa le informazioni e i siriani fanno gli arresti.

La chiesa greco-ortodossa di Mar Elias, nel centro di Damasco. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

I resti delle panche distrutte dall’esplosione dell’attentato nella chiesa. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

Dopo l’attacco suicida alla chiesa di Mar Elias però non è arrivata una rivendicazione dello Stato Islamico. L’attentato è stato rivendicato due giorni dopo da un gruppo che si fa chiamare Saraya Ansar al Sunna, che in arabo vuol dire “battaglione dei partigiani della Sunna”, che è una parola che si riferisce all’islam e indica la vita e gli insegnamenti del profeta Maometto intesi come guida per tutti i musulmani, oltre al Corano. A partire da gennaio il gruppo ha cominciato a rivendicare alcuni attacchi contro la minoranza alawita, una setta musulmana che era la stessa del presidente Assad. Le rivendicazioni erano diffuse da un canale Telegram con 2mila follower, che ormai è stato cancellato.

Saraya Ansar al Sunna sostiene di essere responsabile di una strage di dieci alawiti nella regione di Hama il 1° febbraio. Dice anche di avere partecipato ai molti attacchi compiuti a marzo contro gli alawiti assieme ad altre fazioni e forze, alcune legate al governo. Secondo Reuters questi attacchi hanno ucciso circa millecinquecento persone.

Il funerale di una delle vittime dell’attentato nella chiesa di Mar Elias. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

Alcuni fedeli in chiesa. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

Il ricercatore Aymenn al Tamimi, di solito ben informato, ha intervistato alcuni membri di Saraya Ansar al Sunna e ne ha ricostruito così la storia.

Il gruppo è nato da una cellula clandestina di Hayat Tahrir al Sham, che come abbiamo visto era il piccolo esercito islamista guidato da Ahmad al Sharaa, che ora è presidente ad interim della Siria. Questa cellula clandestina durante la guerra civile (iniziata nel 2011) si occupava di reclutare volontari per compiere attacchi a Damasco e in altre città controllate dagli assadisti. Quando finì il regime di Assad e al Sharaa arrivò a Damasco da vincitore, la cellula avrebbe voluto esecuzioni di massa e rappresaglie contro i soldati di Assad che si erano arresi, ma rimase delusa.

– Leggi anche: La storia incredibile della stretta di mano tra Donald Trump e Ahmed al Sharaa

La linea politica scelta da al Sharaa, che per adesso preferisce essere pragmatico e non fanatico, non piace a questo nuovo gruppo di terroristi, e l’attentato contro la chiesa di Mar Elias farebbe parte della campagna per punire il nuovo corso siriano. C’è questo fatto imbarazzante per il governo: se i contatti di al Tamimi dicono la verità, il capo di Saraya Ansar al Sunna, che si fa chiamare Abu Aisha al Shami, probabilmente conosce di persona i leader di Hayat Tahrir al Sham che oggi sono la nuova classe dirigente della Siria.

Uomini della scorta che sorveglia costantemente la chiesa. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

Un crocefisso sulla macchina utilizzata come carro funebre. (Gabriele Micalizzi, Cesura, per il Post)

Il gruppo dice di non fare parte dello Stato Islamico, ma su questo c’è scetticismo. A volte lo Stato Islamico usa questo trucco: crea una fazione con un nome diverso e poi, soltanto dopo qualche tempo e in caso di successo, finge con magnanimità di assorbire la nuova fazione. È così che ha fatto all’inizio della rivoluzione siriana, quando si presentò con il nome generico di Jabhat al Nusra, in arabo il fronte del sostegno. Ma a leggere i comunicati di Saraya Ansar al Sunna sembra proprio di leggere materiale dello Stato Islamico. Persino la grafica è simile.