La difesa di Nordio sul caso Almasri è sempre meno convincente
Non che lo sia mai stata davvero, ma nuovi dettagli fanno emergere una gestione caotica del ministero della Giustizia

Nel modo in cui il governo italiano nel suo complesso e il ministero della Giustizia in particolare hanno gestito il caso di Najim Osama Almasri, l’ex capo della polizia giudiziaria libica accusato di crimini contro l’umanità, è emersa fin dall’inizio un’anomalia: il fatto che il ministro Carlo Nordio abbia fatto di tutto per evitare di dover confermare il suo arresto. O meglio, non abbia fatto una cosa semplicissima che gli sarebbe bastato fare, se avesse voluto, e cioè intervenire con un atto banale per sanare qualsiasi vizio di forma contenuto nei documenti con cui la Corte Penale Internazionale (CPI) aveva chiesto all’Italia di arrestare Almasri.
Questo è stato un elemento chiaro fin dai giorni immediatamente successivi alla strana liberazione e al rimpatrio di Almasri, avvenuto con un volo di Stato. Nordio e Giorgia Meloni non avevano saputo, o voluto, motivare davvero questa loro scelta, fornendo invece spiegazioni un po’ vaghe e un po’ contraddittorie: prima negando che la scelta fosse stata fatta dal governo, e attribuendola invece solo alla magistratura; poi di fatto ammettendo che l’orientamento del governo sarebbe comunque stato quello di rilasciare Almasri.
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Nelle ultime settimane, dopo alcune denunce pubbliche da parte di Matteo Renzi e alcuni articoli di giornale, sono emersi nuovi elementi che rendono per certi versi ancor più evidente questa anomalia. E ne fanno emergere altre, collaterali, che però delineano un contesto caotico: fatto di confusione e anche di qualche notevole conflitto istituzionale interno al ministero della Giustizia.
Oggi tutti scrivono della vicenda Almasri e del fatto che Meloni ha mentito al Paese e Nordio ha mentito al Parlamento. Noi lo avevamo detto – nel silenzio generale – dieci giorni fa al podcast di Fedez e Marra. Vedere per credere… pic.twitter.com/Akq4x7gOtJ
— Matteo Renzi (@matteorenzi) July 10, 2025
Almasri venne arrestato in un hotel di piazza Massaua, a Torino, alle 3 e mezza del mattino di domenica 19 gennaio. Nordio, riferendo in parlamento sulla vicenda il 5 febbraio, spiegò che la notizia dell’arresto era stata «trasmessa via e-mail da un funzionario dell’Interpol a un dirigente del dipartimento per gli Affari di giustizia del nostro ministero alle ore 12:37» di quella stessa domenica, e specificò che si trattava «di una comunicazione assolutamente informale trasmessa via e-mail, di poche righe, priva di dati identificativi e sprovvista – com’era ovvio – del provvedimento sul quale avremmo dovuto alla fine riflettere».
Gli elementi che stanno emergendo in queste settimane, anche grazie al lavoro di autorevoli giornalisti come Giovanni Bianconi del Corriere della Sera e attraverso informazioni legate all’indagine condotta dal tribunale dei ministri nei confronti di Nordio, generano forti dubbi sulla veridicità di questa ricostruzione. Si sa infatti che già nella mattinata di domenica, poche ore dopo l’arresto di Almasri avvenuto nella notte, il ministero ricevette informazioni dettagliate sulla vicenda attraverso i canali concordati con la CPI e stabiliti dalla legge, cioè per il tramite di un magistrato di collegamento che lavora nell’ambasciata italiana all’Aia, nei Paesi Bassi, dove si trova anche la sede della CPI stessa.
Il magistrato in questione è Alessandro Sutera Sardo, che intorno all’ora di pranzo caricò su una specifica piattaforma interna al ministero degli Esteri e della Giustizia per casi come questo, PRISMA, il mandato d’arresto emesso dalla CPI con tutti i documenti annessi in allegato. Quello è l’atto con cui formalmente la comunicazione si dà per avvenuta. Ma prima, come sempre succede in casi così delicati, tra l’ambasciata italiana all’Aia e il ministero della Giustizia c’era stato un fitto scambio di informazioni non ufficiali sul caso, condivise in maniera più sbrigativa rispetto alla procedura prevista da PRISMA.

Giusi Bartolozzi, attuale capo di gabinetto del ministro Nordio, durante una conferenza stampa alla Camera il 19 marzo 2019, quando era deputata di Forza Italia (Vincenzo Livieri/LaPresse)
È uno scambio che tra gli altri coinvolse lo stesso Sutera Sardo; alcuni funzionari dell’Interpol; il consigliere diplomatico del ministro della Giustizia, Augusto Massari; la direttrice generale degli Affari internazionali e della cooperazione giudiziaria Mariaemanuela Guerra; il capo dipartimento per gli Affari di giustizia Luigi Birritteri; e la capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, di gran lunga la collaboratrice di cui Nordio si fida di più e che in questi anni ha assunto un potere notevolissimo, e per certi versi inusuale, all’interno del ministero. È verosimilmente a uno di questi scambi informali che Nordio ha fatto riferimento in parlamento, parlando «di una comunicazione assolutamente informale». Di certo, nella mattinata di lunedì 20, anche i servizi segreti erano informati della vicenda.
In quel momento, intorno all’ora di pranzo, iniziò subito un confronto tra i vari funzionari del ministero della Giustizia competenti, e si rivelò un’apparente anomalia nella procedura seguita dalla CPI. E cioè il fatto che i magistrati della Corte non avessero informato il ministero della Giustizia prima di emettere il mandato d’arresto, come sarebbe stato senz’altro opportuno e come è previsto dalla legge. È questo il vizio di forma al quale si sarebbe appellato Nordio per giustificare la sua decisione di non dare corso alla richiesta della CPI. In quello scambio di opinioni fatto di domenica all’ora di pranzo, avvenuto per lo più via mail o con telefonate, emersero pareri discordanti sulla gravità di quell’errore procedurale, e si decise così di rinviare all’indomani una decisione più meditata.
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A questo punto ci fu uno scambio di mail su cui si sta facendo polemica politica in questi giorni. Alle 14:35 di domenica il capo dipartimento per gli Affari di giustizia Luigi Birritteri scrisse ad alcuni suoi superiori, mettendo in copia anche la capo di gabinetto Bartolozzi. «Concordo su una prima valutazione (fatti salvi i necessari approfondimenti) inerente l’irritualità della procedura che sinora non vede coinvolto il ministero della Giustizia come autorità centrale competente. Domani faremo le nostre valutazioni, sulla base della documentazione che ci verrà eventualmente trasmessa», scrive Birritteri.
Il quale, però, prosegue dicendo che la richiesta della CPI potrebbe richiedere al ministero di adottare eventuali «provvedimenti urgenti». E rispetto a questi, Birritteri precisa che «ci vedono privi di delega, come da me già evidenziato anche al capo di Gabinetto in precedenti comunicazioni. Potrebbe dunque emergere la necessità di atti urgenti a firma dell’on. Ministro».
In sostanza, Birritteri avverte i suoi superiori: potremmo dover fare scelte delicate, che vanno oltre le nostre competenze, e che dovrebbero essere deliberate in definitiva dallo stesso Nordio. Birritteri ribadisce questo concetto a vari dirigenti, con l’apparente intenzione di rendere chiaro il suo orientamento e lo stato dei fatti: altrimenti perché dire in una mail con più destinatari ciò che ha «già evidenziato al capo di Gabinetto in precedenti comunicazioni»?
A questa mail, la stessa Bartolozzi rispose meno di un’ora più tardi. Erano le 15:28: «Ero stata informata. Massimo riserbo e cautela anche nel passaggio delle info. Meglio chat su Signal. Niente per mail o protocollo». Dunque la capo di gabinetto suggerisce di discutere in via informale della faccenda su una piattaforma di messaggistica, Signal appunto, ritenuta sicura e difficile da intercettare. E non è chiaro il perché.

I senatori del PD protestano in aula durante l’intervento dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sul caso Almasri, il 5 febbraio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
È chiaro invece che Bartolozzi, nel primo pomeriggio di domenica, sapeva quel che era avvenuto: e lo sapeva, a quanto si può comprendere sulla base di questi elementi, non soltanto attraverso le poche righe di una mail, come detto in parlamento da Nordio. Se poi lo stesso ministro ne fosse al corrente, non è facile dirlo: per prassi, un capo di gabinetto comunica sempre immediatamente le notizie importanti al proprio ministro, ma in più occasioni i funzionari del ministero della Giustizia, in questi ultimi due anni, hanno lamentato l’eccessiva autonomia e l’eccessivo potere di Bartolozzi. Lo stesso Birritteri nel giugno scorso si è dimesso dal suo incarico, per via di questa situazione anomala: la gestione del caso Almasri è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’ennesima faccenda nella quale il ministro ha delegato alla sua capo di gabinetto la responsabilità di prendere decisioni molto importanti.
Fin dal primo mattino del giorno dopo l’arresto, lunedì 20 gennaio, al ministero della Giustizia si susseguirono riunioni e confronti più o meno informati tra i vari funzionari. Alle 12:40, secondo la ricostruzione fatta da Nordio in parlamento, il procuratore generale di Roma, Jimmy Amato, inviò al ministero tutti i documenti legati al caso Almasri, scrivendo tra l’altro che «il ministro della Giustizia, interessato da questo ufficio in data 20 gennaio immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla questura di Torino, ad oggi non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito». Si torna insomma all’anomalia iniziale: Nordio avrebbe potuto, se lo avesse voluto, sanare il vizio di forma contenuto nella procedura della CPI.
In realtà le strutture del ministero si erano attivate. Alle 13:57 di lunedì, proprio per correggere l’anomalia iniziale, l’ambasciata dell’Aia sempre per il tramite della struttura guidata da Sutera Sardo trasmise al ministero la richiesta di arresto della CPI: era una richiesta fatta per così dire ex post, e dunque senz’altro frutto della volontà di risolvere accogliendo però la richiesta della Corte, e dunque trattenendo in carcere Almasri. Sempre nel primo pomeriggio di lunedì, infatti, gli stessi uffici del dipartimento per gli Affari di giustizia guidati da Birritteri scrissero l’atto necessario a confermare l’arresto. Era proprio uno di quei «provvedimenti urgenti» che il giorno prima Birritteri aveva indicato.
Ma perché quell’atto fosse valido, e dunque l’arresto di Almasri confermato, occorreva a quel punto la firma di Nordio. Che non arrivò mai. Alle 8 della sera di martedì 21 gennaio, due giorni dopo il suo arresto, Almasri salì sul Falcon 900 in dotazione ai servizi segreti per essere riportato a Tripoli.