Che fine hanno fatto i 25 miliardi di euro contro i dazi annunciati da Meloni?

Oltre tre mesi dopo la promessa non è stato stanziato neppure un euro, e il governo ha smesso di parlarne

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante l’assemblea annuale di Confindustria a Roma, il 18 settembre 2024
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante l’assemblea annuale di Confindustria a Roma, il 18 settembre 2024 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Caricamento player

Lo scorso 8 aprile, durante una riunione con i rappresentanti dell’industria e delle associazioni di categoria nella Sala Verde di Palazzo Chigi, Giorgia Meloni annunciò che avrebbe messo a disposizione delle imprese 25 miliardi di euro per consentire al sistema produttivo italiano di fare fronte alle difficoltà legate all’introduzione dei dazi da parte di Donald Trump. Al netto di qualche perplessità, l’annuncio venne accolto con generale favore dal mondo delle imprese, e i giornali gli dettero molto risalto. Venticinque miliardi, del resto, sono una cifra considerevole: qualcuno arrivò a parlare di «una quasi finanziaria», cioè di una sorta di piccola legge di bilancio.

Tre mesi dopo, non è stato stanziato nemmeno un euro. Ed è improbabile pensare che una cifra anche solo vagamente vicina a quella annunciata possa essere messa a disposizione delle imprese in tempi ragionevolmente ristretti.

Nell’idea di Meloni, quasi tutti quei 25 miliardi sarebbero dovuti provenire da una rimodulazione di fondi europei: non, quindi, risorse aggiuntive, ma spostate da altri progetti già previsti.

In particolare, 14 miliardi sarebbero dovuti provenire dalla modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) finanziato coi fondi europei del NextGenerationEU. La presidente del Consiglio aveva detto di voler prendere quei 14 miliardi dal capitolo di spesa pensato «per sostenere l’occupazione e aumentare l’efficienza della produttività». Altri 11 miliardi avrebbero potuto «essere riprogrammati a favore delle imprese» traendoli dei fondi di coesione (75 miliardi da spendere entro il 2029, di cui 42,7 finanziati direttamente dall’UE), quelli stanziati dalla Commissione per i vari Stati membri.

L’incontro tra il governo e le categorie economiche sulla questione dei dazi nella Sala Verde di Palazzo Chigi, l’8 aprile 2025 (FILIPPO ATTILI/ANSA)

L’annuncio di Meloni è parso fin dall’inizio un po’ fumoso. Anzitutto perché è sempre abbastanza complicato distinguere una misura «a favore delle imprese» da una che invece non lo è: un qualunque investimento pubblico, se ben strutturato e ben eseguito, ha una ricaduta positiva più o meno diretta sul sistema produttivo. Ma soprattutto, a essere problematico è proprio il processo di revisione dei fondi europei, cioè lo spostamento di così tanti soldi da un progetto – già discusso e approvato – all’altro.

– Leggi anche: Il governo italiano è in confusione sulle questioni europee

Non a caso, per quel che riguarda la modifica del PNRR, il governo si è preso più tempo del previsto. Nella proposta di revisione del Piano inviata alla Commissione Europea a metà maggio – quindi oltre un mese dopo l’annuncio di Meloni – e approvata all’inizio di luglio, non sono state previste rimodulazioni di spesa sostanziali a favore delle imprese. Ci si è per lo più concentrati sulla modifica di alcuni obiettivi previsti, così da renderli più facilmente perseguibili entro la scadenza del Piano a metà del 2026. Ma si è trattato di semplici spostamenti di voci di spesa, specie per la missione del PNRR che riguarda la transizione ecologica.

Un esempio, tra i molti: si è dimezzato il fondo destinato allo sviluppo di progetti legati all’idrogeno verde (nel complesso, ammontava a 1,3 miliardi). I circa 640 milioni tolti da quei progetti, difficili da realizzare perché il mercato si è mostrato meno reattivo del previsto, sono stati stanziati per altri progetti basati sul biometano, che sembrano più abbordabili. Nel complesso, l’effettivo beneficio che le imprese hanno ottenuto da questa rimodulazione, soprattutto per quel che riguarda le difficoltà connesse ai dazi, è stato piuttosto contenuto.

Modifiche più sostanziose sono state invece introdotte nella nuova proposta di modifica del PNRR, che dovrebbe essere l’ultima consentita dalla Commissione e che riguarderà nel complesso circa 170 obiettivi, da cui dipendono oltre 40 miliardi di euro.

Secondo le indicazioni arrivate dal governo fino alla fine di giugno, questa nuova richiesta avrebbe dovuto essere predisposta entro la metà di luglio. Due settimane fa, però, il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti ha preso ancora tempo, lamentando il fatto che la Commissione non sta velocizzando le procedure di analisi preventiva sulle richieste, come il governo aveva auspicato.

– Leggi anche: Fare i conti con il PNRR non è facile

Fonti della Commissione spiegano però che l’iter seguito è quello ordinario, e che l’esito dei negoziati è previsto «nelle prossime settimane». Foti vorrebbe che tutto si risolvesse prima della pausa estiva, ma finora nel calendario dei lavori del parlamento (fino all’8 agosto) non è stata ancora individuata la data della discussione. Si tratta di un indizio significativo, perché la proposta di revisione dovrà appunto essere analizzata e votata dalle camere.

Nel 2023, quando la proposta di modifica era stata presentata a luglio dal governo, venne approvata dalla Commissione a novembre. Stavolta i tempi paiono più stretti, ma c’è in effetti una dinamica che sta complicando un po’ le trattative tra il governo e la Commissione, e riguarda la discussione informale che tradizionalmente anticipa la definizione della proposta di modifica.

Il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti con Céline Gauer, direttrice generale per gli investimenti PNRR della Commissione UE, durante un incontro a Roma il 4 luglio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

In sostanza, succede così: prima il governo spiega alla Commissione come vorrebbe cambiare gli obiettivi del PNRR, e riorientare gli stanziamenti; quando la Commissione ritiene ragionevoli queste proposte, il governo può scriverle formalmente.

Nelle scorse settimane su alcune misure, come la modifica del meccanismo dei crediti d’imposta per le imprese, ci sono stati degli attriti: la Commissione ha chiesto al governo maggiori dettagli per poter fare una valutazione preventiva, il governo riteneva che senza un precedente assenso della Commissione fosse inutile procedere con la definizione della proposta, e insomma le cose sono andate per le lunghe.

In ogni caso, Foti ha ammesso che non ci saranno nuove misure a favore delle imprese in questa modifica del PNRR, e che tutte le rimodulazioni di fondi avverranno su voci di spesa già inserite: alcuni progetti verranno ridimensionati, altri finanziati più del previsto. Anche l’ipotesi apparentemente molto clamorosa di trovare 14 miliardi «per le imprese» perderebbe molta della sua reale consistenza: si tratterebbe, semplificando un po’, di una partita di giro in cui qualcuno potrà trovare delle risorse aggiuntive, qualcun altro dovrà invece fare delle rinunce.

Non è peraltro detto che una revisione degli obiettivi e dei progetti fatta in tempi rapidi, e con dei vincoli comunque rigidi come sono quelli che riguardano il PNRR, porti effettivamente all’adozione di misure concretamente utili per le imprese.

C’è un esempio quanto mai eloquente di questo problema, ed è il Piano Transizione 5.0: fu inserito dal governo di Meloni nella revisione del PNRR presentata nel luglio del 2023, e approvata nel novembre seguente, proprio per dare un nuovo sostegno alle imprese. La misura venne attuata a partire dal marzo del 2024, perché il governo impiegò più del previsto per definire il decreto necessario, e si rivelò subito piuttosto fallimentare. Secondo la Banca d’Italia, dei 6 miliardi messi a disposizione delle imprese lo scorso aprile erano stati mobilitati 678 milioni: poco più del 10 per cento, quando mancano meno di 6 mesi alla scadenza della misura prevista, al momento, al 31 dicembre 2025.

L’esempio è significativo perché proprio Transizione 5.0 era stata descritta da Meloni e dal ministro delle Imprese Adolfo Urso come la più importante modifica del PNRR realizzata nel 2023: dei 22 miliardi di euro rimodulati, 6 erano appunto quelli legati a questa sola misura. Ed è abbastanza significativo che tra le proposte che il governo italiano ha deciso di inserire nella nuova modifica del PNRR ci sia proprio il definanziamento di Transizione 5.0 per sostenere altri meccanismi di credito d’imposta per le imprese. La modifica del PNRR, dunque, viene ora modificata sempre con lo stesso ipotetico obiettivo di sostenere maggiormente il sistema produttivo.

Quanto agli 11 miliardi legati alla ridefinizione dei progetti legati alle politiche di coesione, non ci sono stati finora sviluppi significativi. Fonti della Commissione confermano che il collegio guidato da Ursula von der Leyen è ben disposto a valutare possibili richieste, e che c’è un dialogo in corso con vari governi al riguardo. Sui tempi previsti per l’esito di queste trattative, non ci sono indicazioni.