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  • Giovedì 17 luglio 2025

«Stavamo per tornare»

La nuova puntata di Outpost, la newsletter di Daniele Raineri che ora si trova in Siria, e racconta da là cosa sta succedendo

Miliziani del governo siriano che vanno a combattere contro i drusi, a Izraa, nella regione di Suwayda, 16 luglio (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Miliziani del governo siriano che vanno a combattere contro i drusi, a Izraa, nella regione di Suwayda, 16 luglio (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
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In questi giorni Daniele Raineri è in Siria per il Post insieme al fotografo Gabriele Micalizzi, per capire cosa sta succedendo. Da lì scrive sia articoli come questi (altri usciranno nei prossimi giorni) sia la newsletter Outpost, dove racconta il lavoro di giornalista in una zona di crisi con storie e aneddoti che di solito non finiscono sui media. Trovate di seguito il numero uscito oggi.

Outpost è una newsletter che esce senza periodicità fissa: arriva ogni volta che Daniele è in viaggio e si interrompe al suo ritorno in Italia. Se vuoi continuare a riceverla, finché sarà in Siria e nei prossimi viaggi, puoi iscriverti qui. Outpost è gratuita, come tutti gli articoli pubblicati sul Post, ma esiste grazie al sostegno di chi si abbona, con tutto il lavoro che la rende possibile. Se vuoi, puoi fare la tua parte e abbonarti anche tu.

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Siria, giovedì 17 luglio

Martedì sono andato al suq (il mercato) centrale di Damasco. Erano le dieci di sera, quasi ora di chiusura. Ho trovato un banco che vendeva le nuove bandiere della Siria, verdi bianche e nere. Assieme ad altra roba ammonticchiata c’erano anche patch in velcro con gli stessi tre colori, rettangolari o a forma di cuore. Ho chiesto “la bandiera nera”. Il venditore con aria losca ha tirato fuori da sotto al bancone un sacchetto di plastica e me lo ha aperto sotto gli occhi. Conteneva decine di patch in velcro dello Stato islamico, rettangolari o rotonde, pronte per essere attaccate sulla spalla o sul petto. “Non lo dire a nessuno”, mi ha detto (raccomandazione bizzarra, a un cliente casuale).

Le metteva a più di tre euro l’una in lire siriane. È una cifra alta. Quando ho detto che era paccottiglia cinese mi ha risposto “no, è prodotta in Siria”. Questa è roba per Outpost, la newsletter del Post che racconta le trasferte in aree di crisi, io sono Daniele Raineri e mi trovo in Siria con il fotografo Gabriele Micalizzi. Siamo alla sesta puntata.

Le patch dello Stato islamico vendute al mercato di Damasco (Daniele Raineri/il Post)

Lo Stato islamico è il gruppo terroristico più estremista e aggressivo del mondo e usa come simbolo il sigillo bianco del profeta Muhammad su fondo nero. È un simbolo anche islamico, ma chiunque lo veda lo associa subito a quel gruppo, alle guerre fatte in suo nome e agli attentati. Se i combattenti siriani si mettono sulla spalla quel simbolo dovrebbero sapere l’effetto che fa.

Bruttissimo, perché la Siria è un paese governato da ex jihadisti che non riescono a tenere a freno, oppure sono complici di, milizie armate che perseguitano le minoranze.

Mercoledì mattina siamo scesi in macchina verso la regione di Suwayda, dove le milizie del governo stanno combattendo contro i drusi (qui è spiegato chi sono) e si sospetta abbiano commesso atrocità. A un certo punto ci è passata accanto una motocicletta con due miliziani a bordo: uno aveva sulla spalla il simbolo dell’Isis attaccato con il velcro.

Non sto dicendo che fossero dell’Isis, non lo erano. Sto dicendo che usano un simbolo carico di significati spaventosi.

Miliziani del governo siriano, che includono combattenti jihadisti, vanno a combattere contro i drusi, a Izraa, nella regione di Suwayda, 16 luglio (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Siamo arrivati a Izraa, un piccolo centro abitato che fa da anticamera alla regione dei combattimenti. A Izraa gli aerei israeliani in questi giorni hanno bombardato le milizie che andavano verso Suwayda e hanno distrutto un carro armato e un po’ di veicoli. Nella rotonda principale c’era una grande concentrazione di miliziani e alcuni stavano spalmando fango sulle macchine con uno scopettone per renderle meno visibili dall’alto, ai droni israeliani. Micalizzi si è gettato a fare foto.

A Izraa si spalma il fango sulle auto per mimetizzarle ai droni israeliani, 16 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Miliziani del governo siriano che vanno a combattere contro i drusi, a Izraa, nella regione di Suwayda, 16 luglio (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Quando gli ho detto che non stavamo facendo una cosa brillante, a stare in mezzo a così tanti bersagli per bombardieri israeliani, lui ha risposto: “No dai, se gli israeliani bombardassero qui farebbero una strage”. Ci siamo guardati. Da quando ci fidiamo della volontà dei bombardieri israeliani di non fare stragi a terra?

Miliziani del governo siriano, che includono combattenti jihadisti, vanno a combattere contro i drusi, a Izraa, nella regione di Suwayda, 16 luglio (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

L’accesso per Suwayda era chiuso ai giornalisti stranieri. Entravano soltanto alcuni giornalisti siriani embedded con le milizie. La situazione era bloccata. Ci siamo spostati al confine con la Giordania e abbiamo fatto la trafila per uscire dalla Siria. Scanner della retina per le persone e auto passata ai raggi X – non è una metafora, la passano ai raggi X per vedere eventuali bombe nascoste o carichi di droga.

All’aeroporto internazionale di Amman Queen Alia abbiamo mangiato da McDonald’s in attesa di imbarcarci su un aereo per Roma. Abbiamo rimesso le SIM italiane nei telefoni. L’aria condizionata accarezzava le nostre orecchie e c’era un umore da fine trasferta. Gli israeliani hanno bombardato Damasco. Quando abbiamo saputo la notizia, abbiamo saputo anche che dovevamo tornare indietro. E pensare che eravamo a Damasco poche ore prima. Come si diceva nella seconda puntata di Outpost, la linea politica in questi casi è sempre non battere ciglio. Un tempo avrei pensato “che frustrazione”, ma era un errore. Come si fa soltanto a pensarlo, con tutto quello di serio che succede?

Abbiamo disimbarcato il bagaglio dalla stiva, abbiamo dato spiegazioni alla polizia giordana che ci ha portato in una stanza per chiederci conto del nostro gesto sospetto, abbiamo chiesto alla redazione del Post di mandarci un rabbocco di contante perche la Siria è esclusa dai circuiti delle carte di credito internazionali e bisogna pagare tutto in contanti. Abbiamo rifatto verso nord la trafila, le code e i timbri che avevamo fatto verso sud e nella notte siamo rientrati a Damasco. Sulla strada passavano ambulanze e mezzi militari.

Ciao, alla prossima,
Daniele

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