Il più grande carcere di massima sicurezza in Europa
Si trova poco lontano da Istanbul, in Turchia, e al suo interno sono detenuti migliaia di dissidenti e oppositori del presidente Erdogan

Mercoledì Ekrem Imamoglu, ex sindaco di Istanbul, è stato condannato da un tribunale turco a scontare 20 mesi di carcere per aver criticato un pubblico ufficiale. La sentenza non cambierà le sue condizioni: dalla fine di marzo è già detenuto sulla base di altre accuse ritenute politicamente motivate nella prigione Marmara a Silivri, una settantina di chilometri a ovest di Istanbul. Marmara è il più grande carcere di massima sicurezza in Europa per numero di detenuti, e anche il posto dove si sono tenuti alcuni tra i processi politici più importanti in Turchia degli ultimi quindici anni. Qui sono incarcerati migliaia di oppositori politici, intellettuali, attivisti e giornalisti arrestati con accuse pretestuose, perché critici nei confronti del governo del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Il carcere di Silivri fu realizzato nel 2008 per rispondere al cronico problema del sovraffollamento del sistema penitenziario turco, e delle sue strutture vecchie e malmesse. Venne presentato come un centro all’avanguardia, moderno e tecnologico: l’intera struttura occupa una superficie di un chilometro quadrato e comprende 9 diversi edifici per le celle, un ospedale, una moschea, una scuola elementare per i figli dei dipendenti.
Tuttavia negli anni i detenuti e le organizzazioni per i diritti umani hanno raccontato un posto molto diverso da quello descritto pubblicamente.

Una veduta aerea dell’intera struttura nell’anno dell’inaugurazione. Tra le altre cose ospita anche 500 appartamenti per le guardie carcerarie e una scuola elementare per i loro figli, 19 ottobre 2008 (EPA/MINISTRY OF JUSTICE via ANSA)
Prima di tutto è gravemente sovraffollato: ha una capienza massima di 11mila posti ma ospita almeno 22mila detenuti, il doppio. Per fare un paragone, il carcere romano di Rebibbia, il più grande in Italia, ha una superficie di circa un quarto, una capienza di 1.171 detenuti e ne ospita 1.573. Negli anni a Silivri sono state denunciate condizioni igienico-sanitarie pessime, detenuti privati delle cure, razioni di cibo insufficienti, carenza di acqua calda, celle fredde e frequenti abusi e punizioni corporali da parte delle guardie carcerarie. Sono frequenti anche i decessi e i suicidi tra i detenuti.
Se queste condizioni sono comuni a molte altre carceri turche (e a molte altre carceri in generale), quello che rende Marmara un posto particolare è il blocco 9, cioè quello riservato ai prigionieri politici, che fa del carcere il simbolo di come il sistema penitenziario turco venga sempre più usato dal governo di Erdogan come uno strumento di repressione del dissenso. Non è comunque l’unico dove vengono imprigionati dissidenti e oppositori.
Oltre a Imamoglu si trovano a Silivri anche l’imprenditore e filantropo Osman Kavala (condannato all’ergastolo nel 2022); l’avvocato per i diritti umani Can Atalay, che sta scontando una pena di 18 anni per tentata sovversione; e vari politici curdi, tra cui il più noto e carismatico di loro, Selahattin Demirtaş.
Il primo grande gruppo di prigionieri politici a Silivri ci arrivò poco dopo l’apertura del carcere, in seguito a un processo di massa che si tenne nelle aule di tribunale della struttura. È qui infatti che vennero processati gli oltre 270 imputati di Ergenekon, un controverso caso giudiziario che nel 2013 portò all’arresto e alla condanna di centinaia di persone — tra cui militari, giornalisti e accademici — accusate di far parte di una presunta organizzazione clandestina ultranazionalista che aveva l’intento di rovesciare il governo di Erdogan.
Sempre a Silivri vennero condotti molti dei processi relativi al fallito colpo di stato del 2016, che segnò una svolta in termini di repressione delle opposizioni in Turchia. Quel giorno un gruppo di militari tentò di rovesciare il governo di Erdogan, ma fallì.
In quegli eventi il presidente turco trovò il pretesto per governare in modo sempre più autoritario, limitando l’indipendenza della magistratura e perseguitando le opposizioni anche in modo violento. Seguirono purghe nel sistema giudiziario, nell’esercito e tra i dipendenti pubblici, e centinaia di migliaia di persone vennero arrestate, in molti casi con accuse pretestuose. Molte finirono a Silivri (ad esempio, Kavala è in carcere nell’ambito di quei processi).

Parenti dei detenuti fuori dall’ingresso del carcere di Silivri. Dopo i moltissimi arresti seguiti al fallito colpo di stato, il governo stabilì il rilascio di 36mila detenuti in tutto il paese, per tentare di alleviare la pressione sul sistema carcerario, 17 agosto 2016 (AP Photo/Thanassis Stavrakis)
Non esistono dati ufficiali su quanti siano i detenuti nel blocco 9: si sa però per esempio che degli oltre 23mila che erano qui nel 2022, 2.017 erano incarcerati con l’accusa di terrorismo, quella usata più frequentemente dalla giustizia turca per condannare i dissidenti (la magistratura in Turchia non è indipendente e spesso la validità di queste sentenze è messa in discussione dalle organizzazioni per i diritti umani e dai tribunali internazionali).
Anche sulle condizioni specifiche del blocco 9 si sa poco, ma per esempio dai racconti di chi ne è uscito si sa che è frequente la pratica dell’isolamento, anche a tempo indeterminato: ha gravi conseguenze sulla salute mentale dei detenuti ed è considerata una violazione dei diritti umani (è utilizzata in almeno altre 40 carceri in Turchia). Un’altra cosa che si sa è che è molto difficile per chi si trova qui ottenere libri, soprattutto se considerati problematici per il regime (per esempio se di scrittori curdi).
Che il governo di Erdogan usi il carcere come strumento di repressione è evidente nei numeri. Prima di tutto il numero di detenuti in Turchia è aumentato in modo spaventoso negli ultimi vent’anni (cioè quelli in cui Erdogan è stato al potere, prima come primo ministro, poi come presidente): nel 2002 erano 59.429, oggi sono 398.694.
L’aumento non è tutto imputabile ai reati motivati politicamente, ma avvocati turchi hanno denunciato una sproporzione nell’attenzione delle forze dell’ordine verso questi reati rispetto a quelli comuni. Lo hanno dimostrato anche le centinaia di arresti in seguito alle proteste per la detenzione di Imamoglu, a marzo. Inoltre un rapporto del 2021 del Consiglio d’Europa aveva mostrato come la Turchia (che è il paese con il più alto numero di detenuti in generale in tutto il continente, dopo la Russia) avesse il 95 per cento dei detenuti condannati per terrorismo in Europa: 30.555 su 32.006. La maggior parte di queste condanne riguarda presunti legami col movimento accusato del colpo di stato, mentre il secondo gruppo più numeroso è in carcere per legami con il PKK, il gruppo armato curdo. Il terzo, nettamente inferiore, per legami con lo Stato Islamico.